Comunicazioni del Governo
Presidente. Dà la parola al Presidente del Consiglio dei ministri.
Prodi, presidente del Consiglio dei ministri. Pronuncia il seguente discorso:
"Onorevole signor Presidente del Senato, onorevoli senatrici, onorevoli senatori, sento, parlando oggi in quest'Aula, nella veste di Presidente del Consiglio, tutto il peso della mia personale responsabilità. È il grande peso della nostra storia, di cui questo Parlamento conserva la memoria più preziosa e di cui è l'espressione più alta.
Di fronte a questo Parlamento, che è il punto di riferimento di tutte le nostre istituzioni, il Governo sente forte l'esigenza di rinnovamento espressa dal popolo italiano. Esso, per la prima volta nella storia unitaria, ha indicato in una grande, inedita coalizione popolare lo strumento per dare avvio a una nuova fase della vita della Repubblica. Sono personalmente orgoglioso di avere contribuito al successo di questa impresa politica. Ho cercato, in questa mia azione, di spendere anche il mio impegno e la mia storia personale di cristiano richiamandomi ai principi della libertà e della piena valorizzazione della persona umana. A questo indirizzo continuerò ad ispirarmi, nel rispetto di ogni fede religiosa e del principio della laicità dello Stato.
Sono trascorsi quattordici mesi da quando ho preso la decisione di presentarmi nello scenario politico per realizzare un grande sogno: ricomporre il paese da una frammentazione che correva il rischio di cancellarlo per sempre dalla scena internazionale.
Nel mio intenso impegno politico sono stato sostenuto da un unico sentimento: l'amore per questo Paese e da un unico ideale: mettere in una sola coalizione tutte le forze democratiche, laiche e cattoliche. Mi sono ispirato alla pagina più bella e più alta della nostra storia repubblicana. L'unità delle forze riformiste, cattoliche e laiche è infatti all'origine della nostra Repubblica.
La Carta Costituzionale è nata da un bisogno che si collocava al di sopra dei partiti e delle piccole visioni: da un bisogno che ha accomunato grandi personaggi come De Gasperi, Togliatti, Parri, Einaudi, Nenni e Sturzo. Quelli sono stati uomini che, pure tra le asprezze e le difficoltà del tempo, hanno saputo mettere il bene del Paese al di sopra degli interessi immediati dei loro partiti. Dobbiamo ritrovare e dobbiamo far rivivere quello spirito.
L'Esecutivo, che pure nasce da una coalizione che ha legittimamente vinto una dura ma chiara competizione elettorale, vuole essere il governo di tutti.
Gli italiani hanno infatti piena consapevolezza della grande sfida che ci attende per risanare e rinnovare il nostro Paese. Non ci sono alternative. O siamo in grado di capire che occorre lo sforzo solidale di tutti per vincere la sfida del nuovo, o la nostra società, giunta dopo tanti sacrifici a un elevato livello di benessere, è destinata al declino e, infine, alla frammentazione. Non è in gioco soltanto la compattezza della nostra Nazione. È in gioco molto di più: la vita stessa della nostra società, la nostra convivenza civile, il futuro nostro e dei nostri figli.
Ed è proprio pensando alle nuove generazioni, alle ragazze e ai ragazzi, ai bambini, che io sento oggi, in quest'Aula, tutto il peso della mia responsabilità. Dalle nostre decisioni dipenderà infatti gran parte del loro futuro. E un peso non minore io sento se penso agli anziani e a coloro che lo diventeranno nei prossimi anni. Anche ad essi noi abbiamo il dovere di assicurare certezza e serenità quando più forte è il bisogno di cure, di attenzioni, di solidarietà umana e sociale.
A questi doveri noi non vogliamo sottrarci: non possiamo farlo per rispetto ai nostri padri e per obbligo verso i nostri figli. Aspiriamo ad essere all'altezza degli uomini migliori della nostra storia e vogliamo superare l'esame a cui un giorno ci sottoporranno i nostri figli. Sono essi che domani ci giudicheranno. Il nostro scopo è riscattare agli occhi delle giovani generazioni, con l'esempio della nostra azione pubblica, la cattiva idea che essi si sono fatti della politica, della gestione dello Stato e, al limite, delle stesse istituzioni repubblicane, a causa dei fenomeni di corruzione e di degenerazione che hanno precipitato l'intero sistema politico in una crisi dalla quale appena ora cominciamo a risollevarci.
Noi abbiamo oggi la responsabilità di guidare questo grande Paese verso il terzo millennio e non possiamo permetterci di fallire. Dopo quattro anni difficili, nel corso dei quali si sono succedute ben tre legislature e quattro governi, è tempo che l'Italia torni a progettare e a costruire il futuro. Per quattro anni l'Italia ha retto grazie alla guida sicura di un grande Presidente della Repubblica, a cui rivolgo il mio deferente saluto. Ha retto grazie al senso di responsabilità delle parti sociali e alla competenza tecnica e politica dei miei immediati predecessori e dei loro Ministri; grazie alla perseverante lotta alla criminalità organizzata e all'illegalità condotta dalla magistratura con il concorso delle forze dell'ordine; grazie alla capacità del sistema economico e produttivo di reggere la concorrenza internazionale in condizioni di oggettiva difficoltà e grazie ai cittadini rimasti fedeli ai loro principi etici più profondi e al diffuso e radicato sentimento di solidarietà nazionale.
Tutto questo ha dimostrato coi fatti la grande energia morale e sociale del nostro Paese. Come in altri momenti della nostra storia nazionale, l'Italia ha trovato in se stessa e nella parte migliore della sua classe dirigente, la forza per resistere alle difficoltà.
Oggi però tutto questo non basta più.
Occorre cominciare ad affrontare le urgenze del Paese con una strategia di grande respiro, per collegare l'indispensabile risanamento della finanza pubblica con una credibile prospettiva di sviluppo economico, sociale e civile.
In questa azione, noi dovremo essere consapevoli che non vi è urgenza maggiore di quella di approntare rapidamente la riforma dello Stato. Le condizioni politiche ed istituzionali finalmente favorevoli ci incoraggiano a cominciare subito questa impresa.
Il Governo che si presenta oggi alle Camere è consapevole di avere dinanzi un Parlamento profondamente diverso da quelli delle legislature precedenti. Per la prima volta, infatti, la competizione elettorale non è stata dominata da singoli partiti o da occasionali alleanze, ma da due grandi coalizioni, portatrici entrambe di un proprio programma e di una propria proposta di governo per il Paese. La portata di questa novità è preminente rispetto alla presenza, a fianco di queste due grandi coalizioni, di altri importanti soggetti politici che hanno compiuto scelte diverse. D'altra parte, la vittoria della formazione dell'Ulivo (che compone questo Governo) non sarebbe stata altrettanto chiara senza l'alleanza elettorale con Rifondazione. Di Rifondazione, anche se ci dividono concrete e importanti scelte di politica economica ed internazionale, condividiamo la sensibilità per il mondo del lavoro, la difesa del potere d'acquisto dei salari, la priorità per l'occupazione e per i grandi temi della giustizia sociale.
Valuteremo in questi campi con interesse e partecipazione proposte e suggerimenti, fermo restando che il Governo resterà fedele alla lettera e allo spirito del programma con cui si è presentato davanti agli elettori.
Non a caso, il Presidente della Repubblica ha voluto sottolineare le novità politiche della competizione elettorale nelle consultazioni per la formazione del Governo, decidendo, per la prima volta nella storia repubblicana, di ricevere non i singoli partiti ma le coalizioni che si sono presentate come tali di fronte all'elettorato.
Questo fatto, così nuovo per il nostro costume politico, ha un'importanza di enorme rilievo, che merita di essere sottolineata per gli effetti che determina su tutto il nostro quadro politico.
Per la prima volta ha effettivamente funzionato quel sistema bipolare che molti di noi hanno tenacemente perseguito come l'approdo più auspicabile della lunga transizione italiana. Era ed è infatti mia ferma convinzione che solo in un sistema bipolare gli elettori possano scegliere non solo un partito ma anche un governo, dando vita a una legislatura stabile, in grado di assicurare, proprio grazie alla stabilità stessa del Parlamento, un'efficace continuità nella guida del Paese.
Inoltre, il modo nel quale si è svolta la competizione e il fatto che gli elettori abbiano indicato con le loro scelte una maggioranza, un governo e un programma, sono un grande elemento di forza di questa nuova legislatura.
Il nesso inscindibile che si è costituito tra l'elezione delle Camere e l'indicazione della coalizione vincente dimostra che anche in un sistema parlamentare puro come quello italiano è possibile che, attraverso il Parlamento, il corpo elettorale possa indicare quale coalizione, quale programma e quale proposta di governo abbia diritto di reggere il Paese. Il sistema parlamentare ritrova così tutta la sua forza ed autorevolezza come interprete fedele di una volontà popolare chiaramente espressa.
Ora tocca a noi, a tutti noi, certo con maggiori doveri per il Governo, ma con non minore responsabilità per tutto il Parlamento, dimostrare di essere all'altezza del mandato conferito dagli elettori.
Il Governo è ben consapevole di dover guidare il Paese in una fase difficilissima della sua storia e sa che dai risultati che in questi anni verranno raggiunti dipende la possibilità per la nostra gente di entrare a testa alta nel nuovo secolo. Potrebbe accadere che in un clima di confusione e di scarsa operatività anche una società forte come quella italiana si sfaldi. Potrebbe accadere che legittime richieste di ammodernamento dello Stato, di sviluppo delle autonomie e delle realtà locali degradino in pericolose parole d'ordine e possano portare a risultati contrari ai fondamenti etici, culturali e storici della nostra Nazione. Ciò non accadrà.
Il Governo però vuole e saprà rispondere alle legittime domande che sono state lanciate da quella parte importante del Paese che ha scelto una rappresentanza fortemente critica verso le due grandi coalizioni. In questo voto, espresso in aree fortemente produttive e che con la loro proiezione internazionale contribuiscono al generale benessere del Paese, il Governo non coglie l'affermazione di una diversa identità, ma una pressante e fondata domanda di riforma e di ammodernamento dello Stato.
L'unità nazionale è fuori discussione. Ciò che invece è in discussione, e non da oggi, è la forma di Stato.
La pretesa, connaturata a uno Stato fortemente centralizzato come il nostro, di legiferare su tutto, di decidere su tutto e di governare tutto dal centro del sistema, da una capitale sede di ogni centro decisionale, è sempre più in contrasto con le necessità di una società complessa, articolata e differenziata nei suoi sistemi economici, culturali e sociali. È sempre più evidente la necessità di flessibilità, di articolazione e di duttilità dei centri decisionali e degli stessi apparati amministrativi. È utile, oltre che necessario, dare voce e spessore alle differenze. Si potranno così valorizzare meglio le ricchezze e le risorse del Paese, a condizione, certo, che resti forte il sentimento di solidarietà e di comune appartenenza alla medesima Nazione.
Dobbiamo perciò individuare nuovi canali istituzionali che consentano alle regioni e alle autonomie territoriali di rinnovare completamente il circuito decisionale del nostro Paese.
Bisogna procedere a una forte riforma dello Stato e del ruolo stesso del Governo. La via da seguire è quella di un ampio trasferimento di funzioni amministrative dallo Stato al sistema delle regioni e delle autonomie locali. È evidente che questa filosofia di rinnovamento comporta che ad un'amministrazione centrale fondata su apparati pesanti di gestione si sostituisca un'amministrazione centrale di coordinamento e di indirizzo che collabori intensamente con le regioni e con le autonomie locali. Il Governo vuole dare immediatamente segnali chiari della sua decisione di perseguire in tempi rapidi questi obiettivi. È un primo passo in questa direzione la struttura innovativa della compagine di Governo, che accorpa alcuni Ministeri di "servizio" e che attribuisce Ministeri che sono strategici per la costruzione delle autonomie a Ministri che hanno fatto specifiche e personali scelte verso il decentramento.
In questa prospettiva, il Governo, integrando decisioni già assunte dal precedente Esecutivo, intende chiedere in tempi brevissimi una delega al Parlamento, che, dopo quelle contenute nelle ultime finanziarie, consenta un immediato e profondo trasferimento di funzioni alle regioni, l'istituzione di unità amministrative elementari a livello regionale e locale, la sostanziale abolizione dell'attuale sistema dei controlli e una ampia autonomia amministrativa e contabile.
Il Governo si impegna a promuovere un federalismo fiscale cooperativo, che considera il presupposto fondamentale di ogni riforma tributaria. Esso si ispira ai principi di responsabilità, di sussidiarietà e di solidarietà. Punto di partenza è un allargamento dell'autonomia tributaria degli enti decentrati, in un quadro che ha come protagoniste le regioni.
Particolare attenzione e sensibilità il Governo dedicherà alla tutela delle minoranze etniche, in una visione dinamica delle autonomie speciali, con l'impegno specifico ad emanare in tempi rapidi le norme di attuazione già licenziate dalle commissioni paritetiche e ad attuare il passaggio di ulteriori funzioni e competenze.
Il Governo intende inoltre promuovere il decentramento di strutture o di servizi dell'attuale sede di Roma ad altre grandi città italiane. Ci ispira l'idea di una capitale reticolare che è stata sperimentata con successo in altri Paesi. Si tratta di una prospettiva di medio periodo, che ci sembra opportuno e utile indicare fin d'ora.
Si inserisce qui la questione delle riforme istituzionali e costituzionali che è stata tanto dibattuta negli scorsi anni.
Aver avuto un mandato di governo non significa essere esentati dal dovere di costruire consensi, di cercare accordi con le varie realtà individuali e collettive di questo Paese.
È dunque giunta davvero l'ora che si dia vita a una stagione "alta" di riforme istituzionali e costituzionali all'insegna del dialogo e non dei monologhi. Ve ne sono le condizioni. Ve ne è la necessità per quanto riguarda il tipo di Stato e il rafforzamento reciproco del ruolo del Governo e del Parlamento.
Il Governo non entra nel merito delle modalità e delle procedure più utili da adottare. Esso resta fedele all'opzione indicata nella prima tesi del programma dell'Ulivo, cioè quella di un patto da riscrivere insieme. Sulla base di questa volontà valuteremo, insieme a tutte le forze politiche di maggioranza e di opposizione, la scelta delle procedure possibili, privilegiando quella con il più elevato grado di consenso.
Ciò che il Governo intende sottolineare è la convinzione che si debba giungere in tempi brevi a incisive modifiche della nostra Costituzione verso un reale federalismo cooperativo e verso una forma di Governo che rispetti il delicato equilibrio che deve esistere tra Governo e Parlamento, fra maggioranza e opposizione.
Questo è il messaggio che ci ha lasciato Roberto Ruffilli e a questo dobbiamo restare fedeli.
La nuova Italia che nascerà da queste riforme sarà l'Italia delle autonomie, nata per venire incontro alle reali esigenze del Paese. Noi non possiamo condividere i modi con cui queste istanze di cambiamento sono state in alcuni casi manifestate e decisamente le avversiamo nel momento in cui esprimono un desiderio di divisione, ma da lunghissimo tempo condividiamo che solo attraverso il decentramento, la sussidiarietà e la responsabilizzazione di tutti i cittadini si possono risolvere i grandi problemi dell'Italia.
Ne hanno bisogno i piccoli e medi imprenditori del Nord (e soprattutto quelli del Nord-Est a cui mi lega la mia personale storia di vita), ne hanno bisogno i ragazzi del Sud, anch'essi oppressi da un centralismo che non corrisponde più al desiderio di partecipare alla costruzione del proprio personale destino.
Per il Governo il risanamento della finanza pubblica e lo sviluppo sociale del Paese sono tanto importanti quanto la riforma dello Stato e delle istituzioni. La nostra coalizione si colloca nel solco della tradizione del riformismo sociale che ha caratterizzato questo secolo, ma ne riconosce i limiti e cerca nuove frontiere di solidarietà e di equità in un ambiente caratterizzato da forme nuove di concorrenza e di produzione della ricchezza. Il Governo è consapevole che tutte le conquiste sociali di cui siamo giustamente orgogliosi sono a rischio se non si saprà fare fronte all'enorme debito accumulato dallo Stato. Perciò considera una priorità ineludibile il risanamento della finanza pubblica.
Ci sono ancora sacrifici da fare, ma già si intravede il punto di arrivo. Sarà preoccupazione prima del Governo che lo sforzo che ancora ci resta da compiere sia distribuito equamente.
La nostra strategia economica si basa sull'abbattimento dell'inflazione, sul risanamento dei conti pubblici, sull'aumento dell'occupazione e sul rilancio del Mezzogiorno. Questi orientamenti sono sostenuti dalla precisa volontà dell'Italia di partecipare attivamente all'integrazione europea, volontà che troverà la sua massima espressione simbolica nella nuova moneta unica, l'Euro, che prenderà il via mentre saremo nella seconda parte di questa legislatura.
Va dato atto ai Governi che ci hanno preceduto che la finanza pubblica italiana ha intrapreso dal 1992 un costante cammino di risanamento: al netto degli interessi, il bilancio del settore statale e quello delle pubbliche amministrazioni hanno un grande avanzo strutturale. Dal 1994 la spesa pubblica si è ridotta in proporzione del prodotto interno lordo. Il Documento di programmazione economico-finanziaria dello scorso anno prevedeva che l'indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni sarebbe arrivato all'obiettivo del 3 per cento del prodotto interno lordo, richiesto dal Trattato di Maastricht, entro il 1998.
La Relazione trimestrale di cassa ha messo in evidenza che gli obiettivi che il Governo uscente perseguiva non potranno essere raggiunti, a causa del maggiore onere per interessi, di una dinamica della spesa primaria più sostenuta del previsto e di entrate che subiranno l'effetto del rallentamento della crescita economica.
Nel tempo trascorso dalla redazione della Relazione trimestrale di cassa, le nuove informazioni statistiche e di bilancio affluite lasciano presumere che la nostra economia, come quelle europee, stia crescendo a un ritmo ancora più basso di quanto stimato a marzo scorso e che il fabbisogno del settore statale possa superare i limiti ivi indicati.
Questo Governo ha già predisposto una ricognizione sia del quadro economico di riferimento che dei conti pubblici. Al termine di tale ricognizione il Governo sarà in grado di dare una dimensione precisa agli interventi che saranno richiesti per riportare il bilancio pubblico in linea con gli obiettivi enunciati dal precedente Governo. I provvedimenti conseguenti saranno presi nel più breve tempo possibile e si accompagneranno alla anticipazione di decisioni che il Documento di programmazione economico-finanziaria per il triennio 1997-1999 indicherà come necessari per portare il bilancio pubblico al risanamento definitivo.
Se il favore con cui i mercati finanziari hanno finora accolto questo Governo si confermerà, e sarà rafforzato nel corso dei prossimi trimestri, l'opera di risanamento della finanza pubblica verrà premiata da una riduzione dei tassi di interesse sui titoli pubblici e, dunque, della spesa per interessi. La differenza tra tassi italiani e tassi tedeschi (oggi di 5 punti e un quarto) potrebbe ridursi di due o tre punti. Ricordiamo tuttavia che maggiore è lo sforzo iniziale, maggiore è il rendimento che se ne ottiene in termini di diminuzione del disavanzo e minori saranno quindi i sacrifici da compiere per raggiungere gli obiettivi prefissati. Un'eventuale riduzione degli interessi più rapida di quanto un'opportuna cautela suggerisce di mettere in conto in questo momento potrà consentire all'Esecutivo di valutare la possibilità di raggiungere obiettivi ancora più ambiziosi di quelli annunciati dal Governo che ci ha preceduto.
In ogni caso, il Governo si impegna a raggiungere gli obiettivi di contenimento dell'inflazione, del fabbisogno pubblico e dei tassi di interesse prima che l'Unione monetaria prenda il via nel gennaio del 1999.
Per esprimere chiaramente questa sua intenzione, il Governo, consapevole della buona situazione dei nostri conti con l'estero, non appena le Camere avranno approvato le misure di contenimento del disavanzo 1996, il Documento di programmazione economico-finanziaria per il triennio 1997-1999 e i provvedimenti di anticipazione della legge finanziaria del 1997, inizierà un dialogo con i partners europei al fine di riportare la lira di nuovo all'interno dell'accordo di cambio.
In tal modo, la nostra economia recupererà l'ancora per la stabilità dei prezzi che ha perduto nel settembre del 1992.
In questa situazione, il Governo si impegna a mantenere la pressione fiscale invariata rispetto ai livelli del 1995 per tutto il triennio 1996-1998; a questo fine dovranno essere presi provvedimenti per sostituire il gettito dei prelievi una tantum. Nella seconda parte della legislatura sarà possibile procedere a un sostanzioso alleggerimento dell'IRPEF e delle imposte sul reddito d'impresa, rendendo, in quest'ultimo caso, indifferenti le forme di finanziamento con debito e con capitale proprio.
Il Governo si impegna inoltre a reperire risorse aggiuntive tramite l'intensificazione della lotta all'evasione fiscale e ad assicurare una ulteriore riduzione della quota della spesa pubblica sul prodotto interno lordo di due-tre punti percentuali.
L'azione sulla spesa sarà la priorità che il Governo perseguirà, ma, all'interno di essa, prima della considerazione di eventuali interventi sulla spesa per prestazioni sociali, il Governo dovrà perseguire la realizzazione di tutti i risparmi possibili in termini di riduzione degli sprechi e di privilegi che ancora sussistono nei meandri della spesa pubblica.
Voglio qui dichiarare che chiederò a ciascun Ministro di considerare obiettivo prioritario del suo nuovo Dicastero formulare il bilancio del proprio Ministero in modo da fornire gli stessi servizi alla collettività destinando alla spesa corrente le stesse risorse ad essa destinate nel corso del 1996. Molte aziende private hanno sopportato sacrifici ben più consistenti per risanare i propri conti. Il Paese esige che questa strada sia percorsa anche dalla pubblica amministrazione prima di essere chiamato ad affrontare ulteriori sacrifici. E questo è il nostro impegno. Ciascun Ministro di questo Governo chiede al Paese di giudicarlo già dal prossimo anno su quanto sarà stato in grado di fare a questo riguardo. Da questo vincolo non andranno esenti né la Presidenza del Consiglio, né gli organi costituzionali dello Stato.
A questa azione di risanamento saranno chiamati a collaborare anche gli enti decentrati di spesa. Il vincolo del risanamento del bilancio degli enti locali e dei Ministeri si accompagnerà a una restituzione di flessibilità nella gestione delle risorse e a un alleggerimento degli adempimenti che ora intralciano la gestione degli enti locali.
Al fine del successo di questa politica è essenziale un rapporto costruttivo tra il Governo e le parti sociali, rapporto che è uno dei fondamenti del nostro patto democratico.
L'accordo del luglio 1993, dopo i primi sacrifici, sta dando i propri frutti in termini di salari reali, che con i recenti rinnovi contrattuali vedranno più che conservato il proprio potere di acquisto nel corso del 1996.
Occorre, tuttavia, rilanciare tale accordo. Il Governo si impegna a convocare in forma solenne un incontro con tutti i firmatari dell'accordo di luglio nel quale: fare un consuntivo degli effetti prodotti da quell'accordo; annunciare e dare avvio all'applicazione delle parti dell'accordo che sono state trascurate e che sono da riproporre con le modifiche suggerite dalla realtà di oggi e dalla evoluzione in atto in tutta Europa nel campo delle relazioni fra i Governi e le parti sociali.
Il confronto avverrà non appena impostato il Documento di programmazione economica e finanziaria.
Noi però non consideriamo il risanamento finanziario come un fine in se stesso, ma come un mezzo per liberare risorse da mettere al servizio dello sviluppo produttivo e quindi come una pietra angolare dell'attenzione specialissima che prestiamo al problema del lavoro e degli squilibri sociali e territoriali del Paese. Nel corso del 1995 il prodotto interno è cresciuto del 3 per cento in termini reali sotto la spinta delle esportazioni e degli investimenti. Come negli altri Paesi dell'Unione europea, l'espansione non si è tradotta in un aumento dei posti di lavoro; anzi, il tasso di disoccupazione nel Mezzogiorno è salito. Dobbiamo perciò reagire contro questa doppia tendenza di una crescita che non crea lavoro e che aggrava il dualismo tra il Nord e il Sud. Il Governo è persuaso che la valorizzazione delle risorse del Paese sia possibile soltanto se sapremo dare impulso e sviluppare con coerenza un'economia di mercato, con regole chiare e trasparenti, che permetta a tutti di partecipare liberamente alla vita della società. È questo il senso dello Stato leggero che proponiamo, uno Stato che sia arbitro e non giocatore, e che, in tutti gli ambiti, determini e faccia rispettare le regole della concorrenza. Perciò riprenderemo con determinazione la privatizzazione delle attività produttive e promuoveremo lo sviluppo di un capitalismo efficiente e civile.
Le privatizzazioni appaiono uno strumento indispensabile per rafforzare le capacità concorrenziali e l'efficienza delle nostre aziende, ma dovranno essere accompagnate dalla istituzione delle autorità di controllo che i Paesi democratici prevedono in questi casi a difesa della concorrenza e dei diritti del consumatore. A questi obiettivi si deve accompagnare un crescente sforzo di modifica della nostra economia, non solo verso l'obiettivo di un allargamento dei mercati finanziari e bancari, ma verso il raggiungimento di una loro maggiore trasparenza e di una più forte concorrenza.
Il nostro capitalismo vive ancora in stanze chiuse e ha perciò bisogno di aria nuova, di nuovi protagonisti, di nuove regole. Ha bisogno cioè di quella democrazia economica che è condizione essenziale per la vita della democrazia politica.
Invitiamo perciò gli imprenditori, gli artigiani, i commercianti e gli imprenditori agricoli a guardare con fiducia e con rinnovato slancio alla nuova stagione politica che si sta aprendo oggi.
I piccoli imprenditori saranno al centro della nostra attenzione perché solo loro sono capaci di venire incontro alla grande sfida della creazione dei nuovi posti di lavoro. Già fra poche settimane sarà pronta una serie di disposizioni per promuovere la nascita e la crescita di nuove imprese, per sostenere il loro sforzo di ricerca e innovazione e per rendere più spedito il loro accesso al credito. E soprattutto partirà immediatamente il grande processo di semplificazione necessario per un corretto funzionamento dei rapporti fra il mondo produttivo e lo Stato.
La disoccupazione è oggi il problema più importante della nostra società. La mancanza di lavoro provoca esclusione, emarginazione e povertà.
Con il concorso delle parti sociali, ci proponiamo di sviluppare una forte iniziativa volta alla riforma del mercato del lavoro e alla valorizzazione della formazione professionale.
Dobbiamo subito operare per una migliore istruzione professionale, per ristrutturare i sussidi e gli ammortizzatori sociali, per sostituire la cassa integrazione, nel caso di crisi aziendali temporanee, con un fondo per la mobilità, per creare nuove possibilità di lavoro promuovendo i servizi alla persona nel terzo settore, per riaffermare una nuova politica ambientale, per rendere più flessibili i modelli di lavoro, per promuovere il lavoro interinale e a tempo parziale, per modificare e rendere efficienti le attuali strutture del collocamento, per rendere finalmente possibile la modulazione dei tempi di lavoro alle esigenze di vita degli individui.
Con pragmatismo, sul terreno concreto della sperimentazione si possono costruire grandi novità migliorando le condizioni di vita dei lavoratori, nel rispetto della necessaria efficienza delle imprese, ormai proiettate nella concorrenza internazionale.
Nella propria politica economica e sociale, il Governo non trascurerà la tutela dell'ambiente. In adempienza ai principi espressi dalla comunità internazionale a Rio de Janeiro, si intende mettere in atto politiche e strumenti operativi per perseguire l'obiettivo dello sviluppo sostenibile. A tal fine dovremo potenziare il Ministero dell'ambiente ed assicurare la piena operatività all'Agenzia nazionale per la protezione ambientale. Con lo strumento dei testi unici, in particolare in materia di rifiuti, acqua e aria, si dovrà realizzare una razionalizzazione della normativa ambientale e il recepimento delle normative comunitarie, uscendo dalle incertezze drammatiche in cui noi oggi ci troviamo in materia.
Proprio nelle regioni in cui un'oculata politica ambientale potrebbe essere straordinario fattore di sviluppo è più acuta la mancanza di lavoro. In Italia, lo sappiamo bene, la questione occupazionale coincide in gran parte con la questione meridionale. Ma non dobbiamo pensare, come troppo a lungo si è fatto in passato, che quello del Mezzogiorno sia soltanto un problema economico. Il Mezzogiorno ha bisogno di acquistare fiducia e deve avere la certezza che potrà contare anche in futuro sulla solidarietà di tutta la Nazione. Noi crediamo che il dirigismo statale, anziché stimolare iniziative locali coerenti con le risorse dei territori meridionali, abbia finito col soffocare lo sviluppo. Il primo interesse della società meridionale è, quindi, avere una classe politica nuova e responsabile, capace di produrre risultati concreti per i cittadini. Nel Mezzogiorno non possiamo ottenere i risultati che abbiamo avuto senza proseguire con tenacia la lotta contro la criminalità organizzata e promuovere ad ogni livello la cultura della legalità. È stato fatto molto negli ultimi anni e grandi sono stati i successi anche negli ultimi giorni. E di questi successi siamo grati a tutti coloro che quotidianamente si sacrificano nella lotta contro la criminalità. Non bisogna abbassare la guardia. Tutti, infatti, sappiamo che gli investimenti di cui il Mezzogiorno ha bisogno saranno favoriti dalla progressiva sconfitta della cultura mafiosa.
Napoli, Palermo, Bari sono città con un inestimabile patrimonio di cultura e di bellezze storiche ed artistiche. Le naturali bellezze sono ricchezze che giacciono in gran parte inutilizzate e che una promozione intelligente del turismo e dell'agricoltura potrebbero far rifiorire e ritornare allo splendore dei secoli d'oro.
Si debbono infine realizzare anche nel Mezzogiorno i grandi progetti: dalle reti di telecomunicazione per creare un ambiente favorevole all'insediamento di imprese innovative al rifornimento idrico di tutte le abitazioni; dal completamento delle reti di trasporto stradale e ferroviario a nuovi mezzi di trasporto nelle aree metropolitane. C'è moltissimo da fare. Nel quadro della riforma delle regole del mercato del lavoro e della formazione professionale, sarà inoltre necessario promuovere intese fra imprese e sindacati, col sostegno pubblico, per creare lavoro nel Mezzogiorno. Occorrerà concentrare gli sforzi su aree e settori specifici che valorizzino le particolari vocazioni del Sud. Sono certo che, con l'appoggio concreto ma non assistenziale di tutta la comunità nazionale, il Mezzogiorno ritroverà la strada dello sviluppo e riuscirà a recuperare le posizioni perdute.
Siamo consapevoli che i cittadini italiani ci chiedono se davvero riusciremo a rendere l'opera di risanamento finanziario funzionale ad una nuova strategia di sviluppo economico ed occupazionale. Ci chiedono se essa sarà compatibile con un equilibrio sociale che mostra già da ora grandi segni di tensione. Ci chiedono se non dovranno rinunciare a prestazioni e servizi sociali che già ora sono troppo spesso carenti. Noi recepiamo queste preoccupazioni, le facciamo nostre, ma ci sentiamo di rassicurarli. Abbiamo già detto che manterremo invariata per due anni la pressione fiscale. E aggiungiamo che riforma dello Stato e risanamento acquistano il loro vero significato nel quadro di una grande strategia di sviluppo sociale e civile dell'intero Paese. In questa azione il Governo si ispirerà al principio di dare a tutti i cittadini uguaglianza di opportunità di fronte alla vita. Ed indispensabile sarà il rinnovamento dello stato sociale per renderlo più equo ed efficiente. Essenziale in questo caso dovrà essere la immediata riforma della scuola.
A centro delle nostre preoccupazioni vi sono, infatti, i giovani. Accanto a milioni di ragazze e ragazzi che si impegnano con successo nella scuola e che dedicano parte del proprio tempo agli altri in attività di volontariato, ve ne sono troppi che perdono la fiducia e abbandonano gli studi. Troppe giovani vite appaiono sprecate. Non possiamo permettercelo. Dobbiamo investire nella scuola e in tutti i sistemi formativi, da quelli professionali alle università e agli istituti di ricerca. La scuola deve essere laboratorio di convivenza civica e sociale, un luogo dove ciascuno impara a vivere insieme agli altri, nel rispetto delle regole, con il senso del limite e, quindi, della norma. Se non funziona la scuola in un Paese, non c'è futuro.
Ci impegniamo quindi a costruire un complesso di sistemi formativi in sintonia con il loro territorio e con le culture più avanzate del nostro tempo, che possano ragionevolmente esigere dai giovani il massimo impegno e che li preparino socialmente ad una competizione sana in un ambiente cooperativo.
In questo senso, la nostra azione si svilupperà in un amplissimo decentramento e in un maggior coinvolgimento di regioni, province e comuni, secondo modalità che garantiscano comunque l'autonomia della scuola e dei suoi istituti; in un prolungamento dell'obbligo; nell'attribuzione al sistema scolastico di un'effettiva e generale autonomia.
Anche il "governo" dei sistemi di formazione professionale verrà delegato alle regioni che provvederanno ad un ampio coinvolgimento di scuole, università, imprese, enti privati e organizzazioni non profit, come avviene nel sistema delle scuole tecniche e professionali del Nord Europa.
Per l'università si provvederà a garantire e ad accentuarne l'autonomia e si punterà a una forte crescita del numero dei laureati. Verranno però diversificati i percorsi formativi e gli accessi e si punterà alla massima applicazione di efficaci strumenti di valutazione della ricerca.
La scuola è per i giovani, ma non possiamo dimenticare il ruolo e la responsabilità degli insegnanti a cui non solo va la nostra gratitudine per il difficile lavoro compiuto, ma ai quali rivolgo un caldo appello perché siano davvero il motore di questo grande rinnovamento del Paese.
Grande sarà il livello di decentramento e della responsabilità nella nuova scuola italiana, ma grande deve essere il sentimento che questo è un bene prezioso per tutti.
La nostra scuola deve essere quindi un grande comune sistema pubblico perché essa è al servizio dell'intera comunità. Ma, come è stato esposto nel nostro programma, essa deve prevedere spazi e libertà concrete d'azione alla scuola statale e a quella non statale, entrambe componenti essenziali di un grande sistema educativo unitario. È poi per la cultura, nel senso più ampio, che dobbiamo impegnarci di più. Nella sua struttura, e nella distribuzione delle deleghe, questo Governo ha già dato un segnale. Certo, un Governo non ha una cultura da imporre o da promuovere, mentre deve essere un catalizzatore e un garante perché le espressioni più diverse del pensiero, delle arti possano essere favorite e diffuse. È difficile da definire la cultura, ma certamente essa è ricerca di espressioni che manifestano la creatività del singolo e quella di un intero Paese.
È straordinario pensare che il 60 per cento di tutte le opere artistiche del mondo siano nel nostro Paese. Occorre valorizzarle e presentarle all'Europa e al mondo intero.
Mantenere un alto grado di solidarietà sociale è un imperativo di civiltà. L'ho sempre detto e lo ripeto in quest'Aula: lo Stato sociale è la conquista più grande del ventesimo secolo. È pure vero che il "patto sociale" tra gli italiani va ridisegnato, va adattato alle nuove esigenze, ai nuovi problemi e alle nuove sensibilità. È un campo vastissimo, di cui mi limiterò a enunciare le aree di interesse e i principi di intervento. La scarsità di risorse non deve andare a scapito dei diritti dei cittadini, in primo luogo nei settori della salute e della previdenza, ma spronarci a migliorare l'efficienza delle strutture e a trovare i giusti criteri di scelta per le prestazioni più strettamente assistenziali. Un'attenzione rinnovata verrà quindi dedicata a promuovere le pari opportunità tra uomo e donna con lo sguardo rivolto non solo al trattamento economico dei lavoratori, ma anche all'organizzazione del lavoro e ai tempi delle città.
Grande rilievo deve essere attribuito alla politica per la famiglia, che non è soltanto la cellula elementare della società, ma è anche un soggetto economico da noi troppo penalizzato e un ammortizzatore sociale che ha consentito e consente al nostro Paese di fare fronte ai momenti più difficili e alle situazioni più scabrose. Sulla famiglia si scaricano tensioni e difficoltà che dovranno essere attenuate da politiche sociali più attente sul piano fiscale, degli assegni familiari e dell'organizzazione dei servizi.
Il Governo ed io siamo ben consapevoli della centralità della famiglia, e per questo non la consideriamo come un "settore" specifico dell'azione di Governo, la cui responsabilità sia delegabile a un unico Ministro. Al Governo, e a me personalmente, pare, infatti, che la famiglia, proprio per le sue caratteristiche essenziali, sia una questione che debba interessare tutti i Ministeri, ciascuno per il suo ambito di competenze, e il Presidente del Consiglio in primo luogo. Certo, il Ministro per la solidarietà sociale ha in questo campo deleghe e responsabilità speciali. E tuttavia la famiglia sarà il soggetto fondamentale della nostra azione, intorno al quale coordinare le politiche di numerosi dicasteri.
Per i servizi sociali pensiamo ad una nuova legge-quadro che assicuri la realizzazione di una adeguata rete di strutture e che sia ispirata all'idea di uno Stato sociale come "casa comune" di tutti, poveri e non poveri, che individui tuttavia un criterio e un equilibrio tra servizi per tutti e l'adozione di criteri selettivi. Forse in nessun altro settore è così importante che questa rete sia vicina ai cittadini, collegata al territorio e gestita localmente per individuare meglio bisogni, domande e linee di intervento. È opportuno che, nella gestione dei servizi sociali, uno spazio rilevante sia aperto ai privati e soprattutto alle organizzazioni del privato sociale.
La nostra attenzione ai problemi della salute, alle esigenze dei più deboli, degli immigrati, degli emarginati non è un proposito astratto, ma sarà un punto di riferimento quotidiano per la nostra azione di Governo.
Lo Stato inoltre non può rinunciare ad essere vicino ai cittadini e a orientarne comportamenti e a disciplinarne le scelte quando la sanità tocca i temi terribili del diritto alla vita e del diritto alla morte, del diritto alla ricerca e del diritto della specie a non essere manipolata nei suoi caratteri essenziali.
Il nostro indirizzo di rinnovamento della società italiana troverà il proprio naturale coronamento nell'impegno volto ad assicurare giustizia a tutti i cittadini. È questo un compito che, prima ancora dell'impegno dei giudici e delle forze dell'ordine, richiede una generale azione civile per promuovere ad ogni livello la cultura della legalità. Questo Paese ha bisogno di legalità e di giustizia. E nel soffermarmi sui delicati temi della giustizia, aspetto fondamentale per la convivenza civile della comunità, sento il dovere di rendere omaggio alla nostra magistratura, e alle forze dell'ordine che l'hanno coadiuvata, per l'impegno e la dedizione con cui ha sempre svolto la sua funzione e, in particolare, per il grande ruolo che ha svolto in questi ultimi difficili anni.
Il Governo sa bene quanto tutto il Paese deve essere grato ai suoi giudici per l'impegno col quale hanno combattuto la criminalità organizzata e l'illegalità diffusa.
Per il futuro, la linea del Governo sarà ispirata al massimo rispetto e alla più autentica deferenza per l'autonomia e l'indipendenza della magistratura.
Il Governo auspica che la magistratura possa sempre più svolgere la sua naturale e doverosa funzione di tutela della legalità intesa, correttamente, come una funzione ordinaria e normale. È certo giunto il momento di invocare a gran voce, anche da questo seggio così importante, che il Paese ha bisogno insieme di legalità (la massima legalità possibile) ma anche di normalità.
Per contro, il Governo, ben conscio delle gravi carenze in cui versa il sistema giudiziario italiano e le sue strutture, si impegna a garantire ogni intervento utile, idoneo e necessario a migliorare l'efficienza e l'efficacia dell'azione degli apparati giudiziari, in modo che i cittadini italiani abbiano veramente giustizia nei tempi e nei modi propri di un Paese civile. Chiederemo quindi al Parlamento di aiutarci a raggiungere una più razionale e moderna distribuzione degli uffici e delle forze sul territorio, di potenziare il sistema del giudice di pace e, più in generale, della giustizia onoraria, di razionalizzare l'impiego della magistratura ordinaria e di prevedere un sistema carcerario con circuiti differenziati per motivi sanitari e umanitari.
Arrivo ora all'ultimo punto delle dichiarazioni programmatiche. Forse vi sorprenderà che tratti solo alla fine del mio intervento le questioni della politica estera e della difesa nazionale. È una scelta che nasce da una convinzione, la convinzione che mettere ordine nelle cose di casa nostra sia la condizione perché il nostro Paese possa svolgere con autorevolezza e con efficacia il ruolo che aspira ad avere nel mondo.
Il principio che ci guida, nel valutare gli eventi internazionali e nell'interagire con essi, è il prevalere del valore dell'integrazione sul nazionalismo. Ci sono di monito i tragici sviluppi che la questione della ex Jugoslavia ha avuto in questi anni.
È a partire da questa filosofia ed in questa prospettiva che la nostra massima priorità è data all'Europa. Ci impegniamo perché, a partire dall'Unione economica e monetaria, prenda corpo un progetto politico complessivo. Si tratta di dotare l'Unione europea di una propria politica estera e di sicurezza e di una maggiore integrazione nei settori della giustizia e degli affari interni. Solo così l'Europa sarà più credibile, più stabile e più democratica.
Un'Europa politica, oltretutto, contribuirà a rendere più efficace il rapporto con gli Stati Uniti.
La presenza militare americana nel continente va infatti mantenuta e lo sforzo comune sarà indirizzato a trasformare gradualmente la Nato in uno strumento militare a disposizione delle Nazioni Unite e della emergente struttura di sicurezza pan-europea.
Tra i fondamentali e delicati rapporti con l'intero pianeta voglio qui infine ricordare il Grande Giubileo della Chiesa cattolica, indetto per l'anno 2000. Sono già state stanziate risorse che saranno impiegate per favorire l'accoglienza e la mobilità dei visitatori valorizzando i luoghi interessati al pellegrinaggio. Sono risorse che troveranno ampio corrispettivo per le entrate dello Stato italiano, ma che sono prima di tutto necessarie per rispondere ad un alto compito di ospitalità.
Il Giubileo è per noi il massimo momento di esposizione e di visibilità: dovrà essere un elemento di identificazione e di orgoglio.
Non dimenticheremo che la promozione esterna del nostro Paese non può limitarsi all'economia, ma deve anche valorizzare la nostra cultura e appoggiarsi alle numerose comunità di italiani, troppo spesso dimenticati, insediate ormai da generazioni in ogni continente.
Saremmo ingenui se non vedessimo che in questo quadro di proiezione del nostro Paese nel mondo un ruolo importante debbono assolverlo le nostre Forze armate. E questo sia per garantire la difesa del territorio nazionale, per quanto possa oggi apparire remota una reale minaccia esterna, sia, invece, per dare un contributo a sostegno della pace, della stabilità e della legalità internazionale. In questa prospettiva e con questo spirito va perseguita l'attuazione del Nuovo modello di difesa, come strumento militare fortemente integrato con quello dei nostri alleati europei ed atlantici. Si definiranno i termini di un sistema di reclutamento misto che si colleghi anche al progetto di dare vita ad un nuovo tipo di servizio alla Patria, in modo che i nostri giovani siano obbligati a un periodo di impegno nei confronti della comunità, ma che possano compiere una libera scelta tra il servizio civile e il servizio militare. Rivolgo qui a tal proposito un saluto, a nome del Governo, certo anche di interpretare i sentimenti di questa Assemblea, ai nostri militari impegnati in Bosnia per la pace e al personale delle Forze armate impegnato in missioni di pace in tante altre parti del mondo.
Onorevoli senatrici, onorevoli senatori, nei limiti di tempo e con le dimenticanze proprie di una dichiarazione programmatica (dimenticanze di cui mi scuso di fronte a voi) ho esposto le linee direttive del Governo da me presieduto e che si appresta a chiedere a voi la fiducia.
Voglio ora limitarmi ad alcune brevissime osservazioni conclusive.
È questo un momento di grande speranza per il nostro Paese. Abbiamo di fronte a noi prospettive ed occasioni che forse mai si sono avute in passato. Di questo noi tutti dobbiamo condividerne la responsabilità: il Governo, la coalizione di maggioranza e l'opposizione.
Noi vogliamo impostare nel modo più trasparente e corretto il rapporto con le opposizioni: su di noi soli grava infatti l'obbligo di Governo, ma su tutti insieme pesa la responsabilità del funzionamento delle istituzioni.
Nessuno di noi può quindi sottrarsi al compito che gli spetta.
Questo Governo, nel cammino che sta per intraprendere, è sostenuto da una grande speranza, quella di rafforzare l'unità del Paese, di portarlo a un più elevato livello di convivenza civile e di dotarlo di quelle strutture leggere che meglio esaltano i principi di libertà, di sana competizione economica e di giusta solidarietà.
Siamo una grande Nazione di cui l'Europa e l'Occidente non possono fare a meno.
La grande, vitale, ma anche confusa transizione che ha contrassegnato gli ultimi dieci anni deve finalmente approdare ad una fase di stabilità e di rilancio.
Il risanamento delle finanze, l'esaltazione delle autonomie locali, la riduzione delle leggi, la semplificazione amministrativa, la riorganizzazione del fisco, la riforma della scuola, del mercato del lavoro e delle strutture finanziarie sono gli strumenti per conquistare i mercati internazionali e costruire una fase di stabilità e di rilancio della nostra società.
Dovremo fare di tutto per recuperare le deficienze di comprensione che vi sono state, proprio da parte della mia generazione, verso la cultura, l'ambiente, la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio naturale, artistico e culturale. Dovremo rifare le periferie delle nostre città dove uno sviluppo convulso ha reso intollerabile il disagio dei loro abitanti.
Dovremo fare i conti con le maglie strette del bilancio ma sapremo trovare le strade per investire in questi settori determinanti.
L'Italia che vogliamo portare oltre il 2000 sarà pienamente europea, integrata in un'Unione che vogliamo più grande e più unita, e sarà in grado di svolgere con autorevolezza la propria missione di promozione dei diritti umani e della pace nel mondo. Sono grandi obiettivi e sono alti propositi.
Chiediamo perciò la collaborazione di tutti, forze della maggioranza e di opposizione, senza che ciò comporti una confusione delle parti e dei ruoli. Chiediamo l'ausilio delle grandi istituzioni di questa democrazia, dalla Presidenza della Repubblica al Parlamento sovrano e al potere autonomo della magistratura. Ci rivolgiamo, infine, ai cittadini italiani, ai milioni di donne e uomini che sono il nostro popolo con un messaggio di speranza e di fiducia.
Onorevoli senatrici e onorevoli senatori, non considerate la fiducia che io chiedo per il mio Governo un puro atto formale, un rito da consumare, automatico e freddo. Chiedo lealtà e collaborazione. Chiedo la cultura della cooperazione e non quella della contrapposizione.
Da parte mia non mi voglio consumare nei corridoi del Palazzo: voglio caratterizzare il mio Governo, non per l'amore del potere, ma per la volontà di servire l'Italia. Non aspiro certo a un posto nella storia tra i grandi strateghi del potere, desidero solo aiutare il mio Paese, con semplicità, con onestà e con chiarezza.
Ma nessuno pensi che ciò equivalga a debolezza.
Signor Presidente del Senato, onorevoli senatrici e onorevoli senatori, chiedo la vostra fiducia perché il mio Governo possa, nei prossimi cinque anni, fare l'Italia più grande e più degna della sua storia".
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